Brooklyn (2016)

Brooklyn è la promessa di un nuovo mondo, la promessa di una nuova vita e di un futuro migliore. Eilis è una giovane ragazza irlandese che ha l’opportunità di trasferirsi a Brooklyn e di cominciare lì la vita che in patria non riesce realizzare. Saoirse Ronan è una bravissima (e giovanissima) attrice ma in questo film la sua bellezza è eloquente tanto quanto il suo talento. Una bellezza fredda e dolce, delicata e aggressiva allo stesso tempo. Negli occhi ci sono la tristezza e la gioia di Eilis, l’angoscia che prova e la pace che cerca.

Lasciare il proprio mondo e la propria famiglia alle spalle è difficilissimo. Il rimpianto e i sensi di colpa sono insopportabili. La vita che ha sempre sognato è davanti a lei e può essere migliore di quella vissuta fino ad ora eppure la nostalgia è troppo dolorosa. Eilis pensa a chi ha lasciato in Irlanda, a chi non può essere con lei e a chi non vedrà più. Sì, la nostalgia è troppo dolorosa.

Inizialmente Eilis è spaesata e inesperta ma pian piano trova il proprio posto, conosce Tony e inizia finalmente a conoscere la felicità. Quando però un grave lutto colpisce la sua famiglia torna in Irlanda dove trova ad accoglierla il mondo di sempre. Un mondo forse più semplice, più sicuro. Un mondo dove adesso potrebbe avere anche lei un posto senza dover fare le dolorose rinunce a cui l’America l’ha costretta, senza doversi sentire schiacciata dai sensi di colpa e logorata dal rimorso e dal rimpianto. Lì la vita sarebbe forse più semplice.

Ma il suo cuore, la sua vita e la sua casa ormai sono in America. Sono a Brooklyn, con Tony e con la vita che loro due possono costruire insieme. Il loro matrimonio, la loro casa da costruire, la loro famiglia da formare. Tutto questo è a Brooklyn e lì Eilis tornerà (non senza tristezza).  

“La nostalgia sarà così forte che vorrai morire e non potrai farci niente tranne resistere. Ma ce la farai e non morirai. Finché un giorno spunterà il sole, forse non te ne accorgerai subito: la sua luce sarà tenue e ti sorprenderai a pensare a qualche cosa o a qualcuno che non ha un’attinenza con il passato, qualcuno che appartiene solo a te, e capirai che la tua vita è lì.”

Andare avanti e non guardare indietro. Resistere e sperare. Non lasciarsi sopraffare dalla nostalgia e dalla tristezza. Saper distinguere tra la felicità propria e quella altrui. Saper chiamare casa non il posto in cui si è vissuti e si ha un passato ma il posto in cui si vuole vivere e in cui si vede un futuro. Questo è Brooklyn. La storia di una ragazza che vivrà per sempre con il peso della nostalgia e l’amarezza del passato ma che sa dentro di sé che la sua vita, il suo mondo e la sua casa sono dove c’è futuro. Dove c’è speranza e dove c’è amore.

Questo film è meraviglioso e ne consiglio la visione ai romantici e ai sognatori. Vi lascio qui il link del trailer: https://youtu.be/RDKVCyL-knU. Preparate qualche fazzoletto però perché vi servirà.

Voto: 7/10.

(Not) The Greatest Showman

The Greatest Showman è un film spettacolo che parla di spettacolo. Anzi canta, salta e balla. Le canzoni sono stupende e sono magnificamente cantate dai membri del cast dotati tutti di una voce stupefacente. L’adulta che sono oggi è per un attimo sparita per lasciare posto alla sua lontana versione adolescenziale quando Zac Efron ha iniziato a cantare e ballare: sapete, reminiscenza di High School Musical. A parte gli scherzi per quanto riguarda gli altri membri del cast molti sono quelli di cui sinceramente ignoravo le doti canore: di Hugh Jackman già avevamo avuto numerose prove ma di Zendaya, Rebecca Ferguson e Michelle Williams io non avevo idea.

Devo dire che il film nel complesso non mi ha lasciato molto. Sarà che forse la storia (vera, tra l’altro) è raccontata in modo un po’ banale. Sarà che forse tutto resta su un piano piuttosto superficiale senza scendere mai troppo nel profondo. Penso per esempio alle storie interpersonali ma non solo. In generale credo che dagli spunti che c’erano potesse uscire fuori un film migliore e quindi per questo dico che nel complesso il film non mi ha lasciato molto. Non mi ha coinvolta molto, non mi ha emozionata molto. E purtroppo penso proprio che uno degli scopi principali di uno spettacolo sia questo: emozionare il suo pubblico.

Ciò nonostante un film che si propone come uno spettacolo deve essere poi per davvero uno spettacolo e The Greatest Showman di sicuro lo è. Non direi che sia proprio il più grande show però di sicuro è degno del suo nome. È uno show. È uno spettacolo di ballo e soprattutto canto. Canti solitari o corali, tristi o allegri, potenti o rassegnati. Una cosa è sicura: anche a distanza di giorni non si può far altro che canticchiare molte delle sue canzoni e sono sicura che con altre pure a distanza di mesi mi scenderà ancora qualche lacrimuccia.

Voto: 6,5/10.

Little Miss Sunshine

Little Miss Sunshine è un film del 2006 entrato ormai nel cuore di molti cinefili e non. Chi non ha mai visto almeno una volta il bel faccino di Olive, la bimba di 7 anni che da sempre sogna di partecipare ad un concorso di bellezza? La sua famiglia è un po’ sgangherata: il padre tiene conferenze semideserte sui cosiddetti nove passi per raggiungere il successo, il fratello ha fatto voto di silenzio finché non potrà frequentare l’Accademia Aereonautica, il nonno sniffa eroina, lo zio Frank (un meraviglioso Steve Carell) ha da poco tentato il suicidio e la madre si fa in quattro per star dietro a tutti.

Ciò che più o meno li unisce è l’affetto per la piccola Olive e così tutti insieme partono con un vecchio furgoncino alla volta del concorso nazionale della California Little Miss Sunshine. Durante il viaggio ne capiteranno di tutti i colori e tra lacrime e risate questa famiglia dovrà rimboccarsi le maniche e inventare originali soluzioni a problemi altrettanto originali.

Quello che il padre ha sempre cercato di insegnare alla sua famiglia è che il mondo si divide in vincitori e perdenti e che loro – gli Hoover – dovranno sempre lottare per essere dei vincenti. Basta impegnarsi, dice. La verità è che nessuno di loro lo è davvero: lui stesso non riesce a far pubblicare il libro a cui stava lavorando, il figlio non potrà pilotare aerei perché daltonico, Frank sente che tutta la sua vita è un grande fallimento.

Olive non è una reginetta di bellezza ma ha sempre creduto nel suo sogno. Ora però ha paura di fallire, ha paura di essere una perdente. Ma ciò che il nonno le dice le fa capire che il padre non ha ragione: il mondo non è diviso in vincitori e perdenti e non c’è niente di male a perdere ogni tanto, a mettersi in gioco, rischiare e fallire.

“Sai chi sono i perdenti? I perdenti sono quelli che hanno così paura di non vincere che non ci provano nemmeno.”

Il viaggio in pulmino, le avventure e disavventure che devono affrontare, il concorso di bellezza che non va assolutamente come si aspettavano. Tutto questo è un’occasione perché la famiglia diventi più unita. È un’occasione perché Olive insegua il suo sogno ma anche perché impari che l’importante è provare e non importa se poi si vince o si perde: bisogna essere sempre fieri di aver provato e bisogna sempre essere pronti a provare ancora. Il viaggio è un’occasione perché anche tutti gli altri imparino questa lezione: il fratello, lo zio e il padre in particolar modo.

Essere se stessi, dare valore alle cose importanti, provare e riprovare senza mai darsi per vinti, senza mai mollare. Questo imparano gli Hoover. Con leggerezza e allegria, non con pesantezza e tristezza. Il sorriso nasce spontaneo quando si guarda Little Miss Sunshine. Quella bambina è davvero la bambina più bella che esista perché irradia una luce tutta sua, una luce fatta di gioia e spontaneità, sicurezza e determinazione, bontà e gentilezza. Lei crede nel suo sogno anche quando il sogno non c’è più. Non potrà più gareggiare ad alcun concorso di bellezza in California ma non è certo la fine del mondo! Lei è fiera di se stessa, la sua famiglia è fiera di lei. E ciò che più conta è che tutti quanti si sono divertititi insieme. Niente pressioni, niente delusioni e niente tristezza. Solo la gioia di ballare spensierati tutti quanti insieme.

Maid e la forza di voltare per sempre pagina

Maid è la storia di una ragazza di nome Alex che nel mezzo della notte scappa di casa con la figlia Maddy per fuggire dal compagno alcolizzato Sean diventato violento e aggressivo. Alex ha solo 25 anni, non ha un lavoro né un posto dove stare. È sola al mondo: non può contare nemmeno sulla sua famiglia dato che la madre soffre di un grave disturbo bipolare non diagnosticato e il padre – anche lui ex alcolista violento – ha una nuova famiglia in cui lei non ha mai trovato posto. Decide così di rivolgersi agli assistenti sociali che la indirizzano verso una casa rifugio per donne vittime di abusi. È forse qui che Alex capisce realmente di essere vittima lei stessa di un abuso. Quando infatti rifiuta il posto nella casa rifugio per “non rubarlo ad una donna che ha subito dei veri abusi” l’assistente le chiede spiazzandola quali siano allora i cosiddetti “finti abusi“. La risposta è che non ne esistono e quelli che Alex ha subito sono veri, sono emotivi.

Siamo infatti abituati a pensare agli abusi domestici come ad abusi fisici e basta. In fondo molti pensano che il controllo, la mortificazione, lo svilimento e l’intimorimento non siano un vero e proprio abuso. Siamo abituati ad immaginare l’aguzzino come un mostro demoniaco che si riconosce da lontano, una persona spudoratamente orribile e cattiva da cui è quindi facile tenersi alla larga e soprattutto da cui è facile fuggire. Spesso arriviamo perfino a pensare che in fondo sia facile dire basta, che sia facile riconoscere il pericolo e allontanarlo da sé. Pensiamo che se capitasse a noi ce ne andremmo alla prima avvisaglia. Ma non è così facile e Maid questo ce lo mostra in modo amaro e lacerante.

Sean non è un mostro che si riconosce da lontano, non è una persona spudoratamente orribile e cattiva. Sean è un ragazzo problematico che affoga la sua disperazione nell’alcol da quando aveva 9 anni, da quando sua madre era tossicodipendente e il suo patrigno lo picchiava violentemente. Quando beve Sean è irascibile e aggressivo: scatta per niente e Alex arriva ad aver paura persino a respirare. Quando beve Sean è un mostro e Alex questo lo ha capito a sue spese. Non è l’alcol a rendere violento l’uomo ma certo tira fuori tutta la rabbia e l’aggressività che evidentemente questo ha dentro di sé e che di solito riesce a domare. Per questo quando non beve Sean è dolce e amorevole. Riesce appunto a disintossicarsi perché non vuole essere come la madre e perché vuole essere un compagno e un padre migliore: infatti con Maddy riesce ad essere un padre amorevole e con Alex si dimostra ancora una volta il ragazzo dolce e gentile degli inizi, quello che la sostiene e la aiuta quando da sola non riesce a gestire i casini della sua famiglia, quello che la tranquillizza con i suoi abbracci e i suoi sorrisi. Quello che c’è per lei in ogni caso e ad ogni costo. Noi come Alex arriviamo perfino a perdonare Sean, a giustificarlo, a dimenticare il mostro che era diventato. Perché ora lui è solo lui: è dolce, protettivo, accorto. Non è un mostro, è solo Sean. Ma non dura molto purtroppo. I litigi e le incomprensioni lo riportano sulla strada dell’alcolismo e piano piano tutto torna come prima. Torna il controllo su Alex, torna la mortificazione, torna l’aggressività. Torna il mostro. Con lui in casa ci dimentichiamo di Sean e di chi era. C’è spazio solo per l’odio e per la paura. Alex fugge di nuovo con Maddy e stavolta Sean dopo l’ennesimo tentativo di riavvicinamento riesce a capire che lui non può prendersi cura della figlia se prima non si rimette in sesto. L’alcol controlla la sua vita e lui non può fare come la madre, non può rovinare la vita anche a sua figlia. Vorrebbe essere migliore e promette di provarci: nel frattempo accetta che madre e figlia vivano lontano da lui. In lacrime chiede perdono ad Alex. Un perdono che lei non gli concede a parole ma che forse intravediamo nei suoi occhi.

Questo è il bello di Maid. Sean non ci viene presentato come un mostro spietato e gratuitamente cattivo che è facile condannare e ripudiare ma come un ragazzo molto problematico che prova ad essere migliore e non ci riesce. Veniamo fuorviati come Alex nel perdonarlo, nel giustificarlo, nel provare empatia nei suoi confronti riuscendo persino a dimenticare il mostro che è capace di diventare quando si lascia andare. È così che possiamo capire quanto in realtà sia difficile per una donna. Quanto sia difficile non riconoscere il pericolo. Quanto sia difficile vedere il mostro oltre il volto di chi pensiamo di conoscere. Quanto sia difficile non perdonare l’uomo che si ama e che ci ama quando si dimostra quello di un tempo, quando è dolce e gentile come una volta. Quando ci promette che sarà migliore, che è cambiato. Il passaggio importante è proprio questo: non importa se non abbiamo davanti a noi un mostro spietato e gratuitamente cattivo ma piuttosto un ragazzo problematico e sofferente. Non importa se a tratti è dolce e gentile come una volta. Non importa se ci amiamo, se ci sosteniamo, se ci capiamo. Se c’è aggressività, se c’è violenza, se c’è timore non ci può essere altro. Se ad ogni litigio, ad ogni incomprensione sappiamo che corriamo un pericolo, se temiamo per noi e per i nostri figli niente altro ha importanza. Per quanto faccia male e per quanto sia difficile dobbiamo trovare la forza di reagire e dire basta. Prima che sia troppo tardi.

Alex ha il cuore infranto ma non arretra e non torna indietro perché lei e sua figlia meritano una vita migliore. Una vita in cui Sean avrà sempre un posto ma alle dovute condizioni. Durante tutta la serie Alex deve affrontare mille problemi e mille sfide ma non si arrende mai. Vivendo inizialmente come una senzatetto cerca, trova e poi perde un lavoro come domestica, cambia alloggio più volte nella disperata ricerca di un posto dove lei e sua figlia possano stare. Ma alla fine ci riesce. Trova un lavoro, viene accettata al college e potrà così realizzare per sé e per sua figlia qualcosa di bello. Qualcosa che sia all’altezza di ciò che meritano.

“Molte persone non scommetterebbero su una madre single che si iscrive al college ma non sanno quello che ci è voluto per arrivarci: 338 bagni puliti, 7 tipi di sussidi governativi, 9 traslochi, una notte alla stazione dei traghetti e l’intero terzo anno della mia dolcissima figlia Maddy.”

Non dobbiamo pensare che sia facile ma non dobbiamo nemmeno pensare che sia impossibile. Ci vuole forza e ci vuole coraggio. Alex trova la propria forza nell’amore che prova per la figlia. Un amore incondizionato che le rende sopportabili la fatica del lavoro, la fame e la stanchezza, la povertà e le umiliazioni. Un amore incondizionato che le dà la forza di fuggire in piena notte dall’unico mondo che conosce e che sembra fatto per lei. Un amore incondizionato che le dà la forza di lottare e non mollare nonostante la solitudine e la disperazione. Un amore incondizionato che vince sulla paura e sul dolore. Perché “tutto questo nuovo mondo è per Maddy“.

Se volete vivere un’esperienza emozionante vi consiglio di guardare questa miniserie (disponibile su Netflix). Vi lascio qui il link del trailer: https://youtu.be/ZO4dyMGD7QU. Sono solo 10 episodi e vi assicuro che ne vale assolutamente la pena. È emozionante. Straziante, triste e doloroso ma anche bello, profondo e commovente.

è tempo di morire?

Non ho ancora (purtroppo) avuto modo di vedere il nuovo film di James BondNo Time To Die”. Quindi per me – scusate il gioco di parole – è decisamente tempo di morire se non rimedio al più presto! Con tutti i ritardi subiti a causa del Covid il film è uscito un anno dopo rispetto alla data prestabilita e ora io non sto più nella pelle.

Da piccola adoravo i film di 007: non so quante volte ho visto Licenza di uccidere con Sean Connery. Per questo devo confessare che quando Daniel Craig è stato scelto come nuovo James Bond ero un po’ scettica: l’asticella soprattutto dopo Sean Connery, Roger Moore e Pierce Brosnan era molto alta. Ma poi sono rimasta incredibilmente sorpresa da quanto Craig mi sia piaciuto nel ruolo.

Il suo James Bond è diverso dal classico agente segreto elegante, beffardo e astuto a cui eravamo abituati. È un uomo più ruvido, più grezzo, più aggressivo forse. Del resto i film stessi sono diversi: hanno un diverso ritmo, un diverso contenuto e un diverso significato. Credo che proprio questa sia la forza dei film con Craig e credo anche che sia questo il motivo per cui hanno avuto così tanto successo. Non si è trattato di portare avanti una storia strascicandola e ripetendola bensì si è trattato di reinventarla modernizzandola, attualizzandola e soprattutto approfondendola. Daniel Craig infatti non interpreta solo lo scaltro agente 007 ma anche e soprattutto l’uomo James Bond con i suoi traumi e le sue lotte personali, i suoi amori e i suoi dolori, i suoi successi e i suoi fallimenti.

Non vedo l’ora di vedere No Time To Die che – si dice in giro – sia una più che degna conclusione del bellissimo percorso iniziato con Craig ben 15 anni fa. A proposito: per fare un breve recap questi sono i precedenti film di 007 che hanno visto Daniel Craig nei panni di James Bond: Casino Royale (2006); Quantum of Solace (2008); Skyfall (2012); Spectre (2015). A mio parere ogni film era più bello del precedente: per questo potrete capire la mia impazienza e la mia curiosità.

Azione, spettacolo ma anche inaspettate e travolgenti emozioni. Questo è il cinema di James Bond. Un colosso, un pilastro del cinema mondiale. Se anche voi come me non avete avuto ancora modo di correre al cinema vi capisco ma se non avete intenzione di farlo ricredetevi! Qui vi lascio il link del trailer: https://youtu.be/DWn09Qk6iTU. Spero di avervi convinti ad avvicinarvi – se non lo avete già fatto – a questa bellissima e spettacolare saga! Se siete fan del buon cinema, se anche voi vi emozionate come me quando vi trovate fisicamente in una sala ma vi sentite catapultati nello spettacolare mondo proiettato davanti a voi vi assicuro che questa saga è adatta a voi!

Dune è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie

Dune è uno di quei film che vanno per forza visti al cinema. Solo al cinema si può apprezzarne la bellezza e soprattutto si può essere sconvolti dalla sua possanza. La regia di Denis Villeneuve ma soprattutto la fotografia di Greig Fraser e la straordinaria colonna sonora ad opera di Hans Zimmer sono una meraviglia per gli occhi e per le orecchie. L’esperienza non sarebbe stata altrettanto bella e suggestiva se fossi stata sul divano di casa mia davanti allo schermo della mia tv. Dune nasce per il cinema e il cinema nasce per film come Dune.

Dune è stato un vero e proprio evento cinematografico: tutti volevano vederlo e tutti ne parlavano. Devo ammettere che io non ho mai letto i libri della saga e questo forse mi ha pregiudicato il totale godimento del film. La storia è infatti piuttosto complessa e renderla in poco tempo comprensibile per un ignaro spettatore è senza dubbio un compito assai arduo: per questo motivo alcuni punti mi sono rimasti oscuri. Ciò nonostante ho potuto tranquillamente capire ciò che stavo vedendo e soprattutto apprezzare la genialità dell’autore dei libri – Frank Herbert – e anche la straordinaria (e ormai ben nota) bravura del regista Denis Villeneuve.

A livello emotivo forse non mi sono sentita molto coinvolta e credo sia un gran peccato perché la storia è molto bella – oltre che originale – e penso che mettere più in risalto determinate situazioni sentimentali avrebbe arricchito ulteriormente il film. Allo stesso tempo però mi rendo conto che lo scopo del film non era tanto quello di suscitare un’emozione sentimentale quanto piuttosto un’emozione visiva e uditiva. E da questo punto di vista Dune ha pochi rivali. La sabbia del deserto e il caldo torrido che quasi sentiamo sulla nostra pelle, i sogni soffusi e lontani che sono inafferrabili per noi quanto per chi sogna. La musica incessante e martellante che accompagna ogni momento scandendolo nel suo incessante e martellante divenire. Ma anche la musica lenta e delicata che accompagna momenti di silenziosa tensione. Pura suggestione visiva e uditiva. Per questo motivo questa esperienza cinematografica è così spettacolare.

Un’ulteriore nota di merito va alla scelta del cast. Molti sono gli attori che hanno una grande o piccola parte del film: troviamo Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Dave Bautista, Zendaya, Jason Momoa, Javier Bardem e altri. Ma fra tutti spicca per ovvie ragioni il protagonista: Timothée Chalamet. La bravura di questo giovane attore è ormai cosa ben provata ma sono contenta che abbia avuto l’occasione di risaltare così bene all’interno del film con il suo talento e la sua originalità. Credo che per lui il meglio debba ancora venire e non vedo l’ora di vedere cosa sarà capace di fare.

Se volete farvi un regalo andate al cinema a vedere questo film: forse la storia non vi segnerà in modo troppo significativo ma l’esperienza visiva e uditiva che proverete sarà più che rara. Per farvi avere un’idea vi lascio qui il link del trailer: https://youtu.be/tVbbaQDN5zs

Il mio voto totale al film è 7/10.

Avete mai visto Senza Traccia?

Avete mai visto Senza Traccia? È una serie tv andata in onda dal 2002 al 2009 e prodotta da Jerry Bruckheimer. La serie tratta di una squadra dell’FBI con sede a New York specializzata nel cercare persone scomparse. Seguendo le indagini e attraverso una serie di flashback vengono ripercorse le ultime tracce di queste persone nel tentativo di ricostruire la loro vita e capire dove possono essere andate (o dove possono essere state portate).

Ero una bambina quando per la prima volta ho visto questa serie tv. Forse il contenuto non era molto adatto alla mia età: si tratta spesso infatti di storie crude e violente anche non di rado con risvolti e finali tragici. Nonostante questo però a me piaceva tantissimo già quando ero una bambina: anzi, vi dirò, adesso che sono cresciuta capisco quanto possa in realtà essere istruttiva la sua visione. Si può imparare che se ci si caccia nei guai, se si fanno cose sbagliate e se si dicono le bugie le cose non si potranno che mettere male a un certo punto. Ad ogni modo adesso che sono cresciuta ho deciso di rivedere tutta la serie e devo dire che se è possibile mi è piaciuta ancora di più. È bellissima. Le storie sono sempre diverse l’una dall’altra e riescono a dipingere le sfumature dell’essere umano e della sua vita con una profonda e attenta delicatezza ma anche con una sincera e realistica crudezza.

La bellezza di questa serie tv sta nel fatto che dovendo cercare persone scomparse la squadra deve riscostruire la loro vita, il loro essere e il loro agire. Attraverso questo percorso di indagine scopriamo i segreti di queste persone, conosciamo la loro intimità, indaghiamo il loro animo. Scopriamo i rimpianti e i rimorsi, i dolori e le paure. Scopriamo la fragilità e la solitudine dell’essere umano che vive la sua vita a tu per tu con i propri fantasmi. Fantasmi del passato e del futuro. C’è chi fugge da ciò che ha fatto o non ha fatto, c’è chi invece passa la vita nel tentativo più o meno vano di rimediare ad un errore commesso o di superare un trauma subito. I fantasmi ossessionano, incatenano e in un modo o nell’altro riescono sempre a sospingerci indietro. Forse se ci aprissimo, se ci confidassimo, se dicessimo la verità riusciremmo a farci aiutare. Riusciremmo a recuperare il presente nell’accettazione di quello che è stato il passato e nella speranza di ciò che potrebbe essere il futuro. Ma spesso questo non accade. Spesso le storie di Senza Traccia non hanno un lieto fine perché spesso non ce l’hanno le storie reali. Molto spesso le cose rotte non si possono aggiustare, non tutti riescono a salvarsi e a volte qualcuno si perde senza mai riuscire a ritrovarsi o ad essere ritrovato.

Questa è la bellezza di Senza Traccia. Il realismo. Il realismo di storie vere e di personaggi altrettanto veri. I protagonisti episodici ma anche i protagonisti fissi. Gli agenti infatti non sono personaggi idealizzati ma realistiche persone abituate a vedere e combattere il marcio. Non sono persone estranee alla sofferenza e ciò che vivono in un modo o nell’altro resta dentro di loro: forse li rende più duri, forse li rende più sensibili. Ma vanno avanti. E il vero realismo di questi personaggi e delle loro storie infatti non sta in una qualche sensibilità ostentata bensì nella loro semplice e realistica umanità. La semplice e realistica umanità di chi sa che il mondo può essere un posto orribile, che le persone possono fare alle altre persone cose ancora più orribili, che le storie di alcuni a volte non possono avere un lieto fine. La semplice e realistica umanità di chi pur sapendo questo continua a lottare perché sa che il mondo può essere anche un posto bellissimo, che le persone talvolta ci stupiscono e che a volte un lieto fine può davvero esserci. Anche se quelle volte non sembrano mai abbastanza.

Billy Elliot: la forza di un ragazzo (e della sua passione)

Avevo visto Billy Elliot quando ero piccola e mi era piaciuto molto ma oggi quando l’ho rivisto dopo anni l’ho amato. La storia la conosciamo tutti eppure ogni volta mi colpisce dritta al cuore.

Billy ha solo 11 anni, una situazione familiare molto difficile e una passione irruenta per la danza. Quando balla non pensa più a niente, sente crescere dentro di sé un fuoco e lui stesso diventa elettricità. Nessun uomo nel suo paese danza: i ragazzi giocano a calcio, fanno pugilato o – come dice suo padre – la lotta. Ma non la danza. La danza è per le ragazze! Invece Billy ama danzare. Non sa nemmeno lui il motivo, sa solo che la danza lo fa sentire bene.

Billy con l’innocenza e l’ingenuità che solo un bambino può avere vive il proprio sogno lasciandosi guidare dal ritmo della musica e dal movimento dei suoi piedi. A lui non importa se le persone chiacchierano, se le persone lo etichettano o lo giudicano. Non gli importa se suo padre gli vieta di andare a lezione di danza. Lui quando balla è libero. Libero dalle costrizioni, libero dalle difficoltà che affliggono lui e la sua famiglia, libero dal dolore, dalla tristezza. Libero.

Giorno dopo giorno Billy si esercita. Nonostante le cadute e i momenti di sconforto non si arrende e con ferma determinazione si impegna sempre di più per migliorarsi. Una tale dedizione richiede grandi sacrifici – alcuni di questi non semplici per un ragazzino di 11 anni – ma Billy accetta lo scotto e lo fa perché è spinto da una passione irrefrenabile che non può essere spenta da niente e da nessuno.

La forza che la sua passione dà a Billy Elliot mi fa pensare. Mi chiedo se anche i ragazzi di oggi hanno passioni altrettanto forti, se credono in maniera altrettanto determinata in qualcosa o in qualcuno. Persino in se stessi. Non voglio fare discorsi generazionali né generalizzanti se è per questo ma non posso fare a meno di pensarci. Penso al fatto che già la mia generazione (ovvero la cosiddetta Generazione Y) ma soprattutto quella successiva alla mia (ovvero la Generazione Z) si stanno mostrando sempre più assuefatte alla vita così com’è e desensibilizzate invece a quello che dovrebbe essere il suo significato più profondo. Nel senso che molto spesso vivono passivamente ciò che capita senza chiedersi che cosa in prima persona potrebbero fare loro per cambiare le cose. Non è facile trovare un ragazzo giovane che abbia la stessa forza che ha Billy di lottare per la propria passione. Non è facile trovare un ragazzo giovane che abbia proprie convinzioni e propri valori, che creda davvero in qualcosa, che abbia ambizioni, sogni o progetti. Ce ne sono tantissimi che li hanno, certo, ma ce ne sono troppi che invece nemmeno si pongono la questione e penso sia triste (e preoccupante).

La convinzione con cui Billy ama la danza porta persino la sua rigida e chiusa famiglia ad assecondarlo nel suo sogno. Ma la sua famiglia non si ferma a questo ed è proprio quella la parte più commovente di tutto il film. Il padre e il fratello inizialmente sono contrari al fatto che Billy danzi ma il padre non appena vede il figlio ballare non può che cambiare idea. È disposto a rinunciare alla lotta e allo sciopero dei minatori per sostenere economicamente il figlio e decide così di piegarsi e tornare in maniera. Vende i gioielli dell’amata moglie deceduta, insieme agli amici organizza una colletta, accompagna il figlio all’audizione per la scuola di ballo. Persino il fratello si convince a sostenere Billy: la madre avrebbe voluto così. D’altronde, come gli dice il padre in lacrime, almeno a Billy devono provare a dare una possibilità di una vita migliore.

L’ultima scena mi commuove sempre. L’amico più caro, il padre e il fratello che anni dopo nella platea di un teatro assistono al meraviglioso balletto di Billy divenuto ormai primo ballerino. Tutti gli sforzi e i sacrifici hanno portato a questo. Tutta la sofferenza e tutto l’amore che questa piccola e difficile famiglia ha dato hanno portato a questo. Una conquista, una rivincita, una rinascita.

Billy Elliot è la storia di un bambino che voleva ballare ed è la storia di una famiglia che impara ad accettarlo pur nei suoi limiti e che anzi si sacrifica per permettergli di realizzare il suo sogno.

Leonardo DiCaprio: un nome, una certezza

Leonardo DiCaprio è in assoluto il mio attore preferito. È senza dubbio uno degli interpreti migliori della sua generazione e penso che a contraddistinguerlo da molti suoi colleghi sia – oltre alla sua innegabile bravura – la sua intelligenza artistica. DiCaprio infatti ha fino ad ora dimostrato di avere un grande intuito nello scegliere i progetti a cui lavorare e nel rifiutarne invece altri che non gli piacevano: scorrendo appunto la sua filmografia ci si accorge di come la gran parte dei film in cui ha recitato siano dei capolavori o quasi. Ma la sua intelligenza artistica va ben oltre.

Leonardo DiCaprio è lo scapolo d’oro, il bell’attore di Titanic che ha fatto innamorare di sé migliaia di persone. Ma nonostante la sua bellezza e nonostante l’ammirazione che questa gli ha sempre permesso di suscitare Leonardo è riuscito a costruirsi un’immagine che niente a che fare con il suo bell’aspetto. Perché DiCaprio ormai non è solo il bel faccino di Titanic ma è un attore a tutto tondo che ci ha regalato interpretazioni da brividi talvolta rischiando l’ipotermia o arrivando anche a sanguinare. La presenza di DiCaprio in un film si nota sempre e non appunto per il suo bel faccino ma per l’impressionante eco della sua bravura. Fosse per un film intero o per soli 10 minuti (per esempio con la sua piccola eppure colossale figura in Django Unchained).

Leonardo DiCaprio nella sua carriera ha interpretato ogni genere di personaggio: il buono, il cattivo, il mezzo buono e mezzo cattivo. Il pazzo, l’eroe, l’innamorato, il sadico. Ogni volta in modo brillante, ogni volta con un’intenzione ferma e un animo fervido. Leonardo DiCaprio non fa un personaggio, lui diventa quel personaggio. A me personalmente affascina vederlo recitare. Per esempio in un film che a me non è piaciuto per niente (C’era una volta a…Hollywood) è la sua interpretazione che secondo me illumina tutta quanta la scena.

Tanti dei film che hanno come protagonista DiCaprio sono tra i miei film preferiti proprio perché molti di quelli da lui scelti sono veramente belli (e portano infatti le grandi firme di Scorsese, Nolan, Spielberg, Tarantino e così via). Per gioco ho deciso di provare a stilare una sorta di classifica dei miei film preferiti tra quelli da lui interpretati.

Senza considerare alcuni film che a me non hanno colpito più di tanto metterei paradossalmente all’ultimo posto della mia classifica Titanic. Non fraintendetemi, penso sia uno dei film più belli mai fatti: credo solo che l’interpretazione di Leonardo non sia tra le sue migliori. Sono infatti convinta che anno dopo anno e film dopo film la sua capacità di recitazione e di interpretazione siano migliorati sempre di più fino a portarlo in cima alle vette di Hollywood (e sul tanto agognato palco del Dolby Theatre).

Era il 1993 quando un ancora diciannovenne Leonardo interpretava Arnie Grape in Buon compleanno Mr Grape. Incredibile come un ragazzo di nemmeno venti anni fosse già capace di calarsi così profondamente e rispettosamente in una parte complessa e delicata come quella del giovane Arnie affetto da autismo. Ma il bello doveva ancora arrivare!

Tra il 2002 e il 2015 ogni singolo film di DiCaprio è a suo modo bellissimo: andando in ordine troviamo Prova a prendermi, The aviator, The departed, Blood diamond, Nessuna verità, Revolutionary road, Shutter island, Inception, Django unchained, Il grande Gatsby, The wolf of Wall Street, The revenant.

Con quest’ultimo nel 2016 Leonardo ha conquistato finalmente il tanto meritato Oscar ma altre volte aveva sfiorato la vittoria e a mio parere in alcuni di quei casi sarebbe stata ben più giusta. Nel 1994 ci arrivò vicino con Buon compleanno Mr Grape, nel 2005 con The aviator, nel 2007 con Blood diamond e infine nel 2014 con The wolf of Wall Street. In quest’ultimo (che secondo me come film lascia il tempo che trova) Leonardo fa un’interpretazione straordinaria ma non era certo questo il ruolo che più di tutti ha messo in risalto le sue brillanti doti. Credo infatti che DiCaprio avrebbe meritato la statuetta (e comunque a prescindere da questa una nostra eterna standing ovation) per The aviator e Blood diamond. In entrambi la sua capacità di calarsi nella parte è impressionante e le emozioni che con la sua sola interpretazione è riuscito a suscitarci sono un raro dono per chi fa il suo mestiere e soprattutto per noi spettatori.

Credo che una menzione speciale spetti poi a The departed e a Nessuna verità perché in entrambi i film – come in Blood diamond (che io personalmente amo moltissimo) – Leonardo sia riuscito a dare il meglio di sé sotto molti aspetti. A livello artistico e a livello umano. Si tratta di fatto in ognuno di questi tre casi di un uomo buono combattuto però nel suo intimo tra ciò che sente di dovere (e volere) fare e ciò che invece la vita gli ha insegnato a fare. Si tratta di un uomo afflitto da angosce, sofferenze, turbamenti di ogni genere. Si tratta di un uomo al confine. E credo che proprio quel confine sia la patria di DiCaprio. Perché fondamentalmente è la patria dei grandi attori: è il luogo dove essi possono dare miglior prova di sé e del proprio talento. Così Leonardo.

Perché Leonardo DiCaprio non è solo il bel faccino di Titanic. È il truffatore Frank, è il malato Howard, è l’agente infiltrato Billy, è il trafficante Danny, è l’agente della CIA Roger, è il borghese Frank, è il detective Edward ed è il pazzo Andrew, è l’estrattore Dom, è il romantico sognatore Jay, è il miliardario Jordan e molti altri. In ognuno di questi personaggi c’è un po’ di Leonardo DiCaprio e noi non possiamo fare altro che ammirare la trasformazione e attenderne altre.

Per una diversa classifica delle migliori 10 interpretazioni di Leonardo DiCaprio vi consiglio il video di Movieplayer su Youtube: https://youtu.be/mnN0pvyVxOg. Anche se è diversa dalla mia non posso che trovarmi d’accordo nell’apprezzare anche altre interpretazioni qui non citate di questo grandissimo attore che – sono sicura – ci regalerà ancora tante emozioni e altrettanti brividi in futuro.

Un posto (per niente) tranquillo

Dopo più di un anno dalla data prevista di uscita ho finalmente visto A Quiet Place II, ennesimo film vittima del covid. Il sequel è indubbiamente meno bello del primo film tanto da sembrare una sbiadita continuazione. I personaggi stessi sono sbiaditi così come pure la storia è meno ricca di contenuti e suggestione. Proprio però questa impressione che mi ha suscitato il sequel mi ha ricordato quanto dannatamente bello fosse il primo film. Lo avete visto? Spero di sì!

A Quiet Place uscì nelle sale nel 2018 sbancando al botteghino e conquistando sia l’approvazione dei critici sia la meraviglia degli spettatori.

Il film veniva presentato come un film horror ma in realtà era molto di più. Intendiamoci, è horror eccome: direi quasi agghiacciante. La tensione che si prova ad ogni secondo del film, ad ogni respiro dei protagonisti, ad ogni loro sussurro o movimento. Non si deve fare rumore. Persino in sala regnava il silenzio: non si doveva fare rumore.

Ma non è solo la paura la protagonista del film. Protagonista è una famiglia scampata all’invasione di mostri senza volto e senza pietà in cerca di vittime da annientare. Una famiglia provata dal dolore, dal rimorso del passato e dall’angoscia per il futuro. Il film parla dell’amore che lega questa famiglia. Parla dell’amore di due genitori per i loro figli e parla dell’amore dei figli per i loro genitori. Parla del coraggio. Parla della forza di continuare a lottare e ancora lottare per la sopravvivenza propria e dei propri cari. Parla del sacrificio che si è disposti a fare per chi si ama. Parla quindi di tutto ciò che è una famiglia.

Entrambi i film sono stati scritti e diretti da John Krasinksi che interpreta anche il padre della famiglia mentre la madre è la bravissima Emily Blunt, realmente moglie di Krasinski nella vita vera. Proprio Emily durante un’intervista ha raccontato di come John fosse alla ricerca di un’attrice per il suo film e di come lei dopo aver letto il copione gli avesse intimato di non scegliere nessuno se non lei per quel ruolo. Fino a quel momento i due (sposati dal 2010) avevano sempre evitato di lavorare allo stesso progetto ma quel film – ha detto la Blunt – dovevano farlo loro due insieme. Perché quel film non parlava solo di mostri, morte e distruzione. Parlava soprattutto di amore, sacrificio e dedizione. Era una lettera d’amore di un padre ai propri figli.

Forse infatti è anche merito della chimica tra i due, della loro intesa e della loro fiducia reciproca se A Quiet Place è un film di cuore. Dove l’unica cosa più forte della paura è l’amore. Dove nel silenzio più totale l’amore fa un rumore assordante. Dove proprio il rumore dell’amore più vincere la paura del silenzio.

Se non siete ancora convinti qui c’è il link del trailer del primo film: https://youtu.be/CjnK4vbhCUY .

A Quiet Place è insomma un film horror da paura, sì, ma è soprattutto un film d’amore. Un amore silenzioso ma allo stesso tempo urlante. Accendete la luce e preparate i fazzoletti.