C’era una volta… a Hollywood

Premetto che quello che do è un giudizio totalmente personale, che si basa sull’impressione che il film ha dato a me.

Solitamente due ore e quaranta minuti di un bel film volano: in questo caso a me non è successo. Ho guardato ripetutamente l’orologio e ciò è un chiaro sintomo di noia: ho trovato infatti il film lento e poco stimolante. Molto autoreferenziale, molto basato sulla bravura dei suoi attori ma poco sulla trama. Poco sulla sostanza. La storia passa di palo in frasca da un evento all’altro, alcuni dei quali anche poco “attinenti”. Di solito a me piacciono le storie non-sense, quelle che riescono ad affascinarti e intrigarti anche senza portarti in realtà da nessuna parte. Ma in questo caso mi sono proprio chiesta “ma che senso ha tutto questo?“.

Se il regista non fosse stato Tarantino, se i protagonisti non fossero stati Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie, qualcuno sarebbe andato al cinema?

Io francamente ne dubito. Andando oltre il finale troppo splatter anche per Tarantino, qual è la storia, quale il senso?

Salvo solo tre cose:

  1. La bravura strepitosa e ineguagliabile di Leonardo DiCaprio. Vederlo recitare è un puro piacere. La sua capacità di entrare in un personaggio e renderlo così speciale è un dono unico. Il suo personaggio è a tratti commovente e devo dire che ho apprezzato molto, oltre alla sua performance attoriale, la sua disponibilità nel fare un passo indietro e lasciare più spazio a Pitt. Anche questo contribuisce a rendere DiCaprio uno dei più grandi attori della sua generazione, forse il migliore di tutti.
  2. La scena in cui Margot Robbie (Sharon Tate) entra nel cinema per vedere uno dei suoi film. La sua emozione, trepidante e felice al limite dell’infantile, mi ha fatto tenerezza. Margot è un’attrice veramente molto brava e non può che crescere e migliorare.
  3. La scena in cui l’attrice bambina fa i complimenti a Rick Dalton per la sua recitazione. La tenerezza di quella scena è stata toccante. La commozione e la soddisfazione negli occhi di Leonardo DiCaprio ne sono state la coronazione.

In sintesi comunque questo film non mi è piaciuto. Ho avuto per tutto il tempo l’impressione di un’impalcatura complessa e labirintica che però non portava da nessuna parte, né nascondeva dentro di sé ciò che poteva dare l’impressione di promettere. Tanto fumo e niente arrosto, tanta forma e poca sostanza.

Allied

Il film racconta la storia di due spie alleate che si innamorano durante una missione antinazista a Casablanca. I due si trasferiscono a Londra, si sposano e hanno una bambina. Ma un giorno i capi di Max (Brad Pitt) lo convocano per informarlo dell’esistenza di prove secondo cui la moglie (Marion Cotillard) sarebbe una spia nazista. Nei giorni successivi verrà accertata la verità tramite false informazioni fornite volutamente alla donna: se Marianne risulterà colpevole, il marito stesso dovrà giustiziarla.
Ad una prima lettura il film sembra parlare di amore e passione, in realtà va oltre a questo. Grazie ad una buona regia e ad una superba e adrenalinica colonna sonora, ci ritroviamo vittime di una forte tensione: non sappiamo cosa succederà, non sappiamo se Marianne sia innocente o colpevole, non sappiamo se Max le crederà oppure no. Il finale è purtroppo più prevedibile di quanto si creda ma ad aggiungere tensione e dubbi è certamente Marion Cotillard che con il suo sguardo inquieta chiunque la guardi (e ovunque lei reciti accade questo). Il film è insomma molto gradevole e appassionante ma soprattutto ha il merito di portarci in un’epoca e in un mondo, la seconda guerra mondiale, in cui ancor meno di oggi si poteva esser sicuri della sincerità e della lealtà di chi ci stava intorno. Quanto conosciamo chi amiamo? Quando possiamo iniziare a fidarci pienamente? Forse però ciò che questa storia ci insegna è proprio che alla fine non importa se sia giusto fidarsi o meno, importa solo se si è disposti a farlo.

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